La quarta domenica di Pasqua è chiamata “domenica del Buon Pastore” perché ogni anno, in questa domenica, leggiamo una parte del capitolo decimo del Vangelo di Giovanni nella quale Gesù si presenta con l’immagine del pastore che ama le sue pecore e guida il suo gregge. Quest’anno ascoltiamo i versetti 11-18.
Gesù inizia facendo un confronto tra il pastore autentico e il mercenario, cioè chi è pagato per guidare il gregge ma pensa soltanto al proprio interesse e non ha a cuore le pecore. È di fronte al pericolo, quando si deve rischiare per difendere il gregge, che appare in pieno la differenza tra i due: il mercenario pensa solo a salvare se stesso, «abbandona le pecore e fugge»; il buon pastore, che conosce e ama ognuna delle sue pecore, le difende fino a dare la propria vita per salvarle.
L’immagine usata da Gesù – il buon pastore e il mercenario – sembra un po’ distante da noi ma basta pensare a ciò che avviene nella vita per scoprirne tutta l’attualità. La cronaca è piena di persone che pretendono di guidare gli altri ma agiscono solo per il proprio tornaconto, pensando solo a se stessi. Gesù invece ci ama e cerca soltanto il nostro bene, la nostra felicità. Ha donato la sua vita per salvarci dal peccato e dalla morte. Gesù parla del suo rapporto d’amore con ciascuno di noi. Un rapporto di intimità, di comunione di un amore disinteressato che si fa dono: «Il buon pastore dà la propria vita per le pecore». La morte come dono – afferma il Vangelo – non è sconfitta, fine di tutto, ma è un nuovo inizio: è risurrezione e pienezza di vita.
Il Vangelo di oggi ci mette davanti due modi diversi di vivere: quello del pastore buono e quello del mercenario. Seguire Gesù significa vivere come lui ha vissuto, seguire il suo amore fedele e disinteressato che si fa dono di vita agli altri.
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